Questo è veramente un'articolo interessante... lungo ma interessante... vi consiglio di leggerlo!Fonte:
www.inviatospeciale.comUna partita internazionale bloccata da un centinaio di fascisti in ‘missione speciale’ a Genova. Ma lo scenario è molto più complesso e il tifo non c’entra: sono i contraccolpi della guerra nella ex Jugoslavia e delle ‘guerre umanitarie’.
A Genova, una città già drammaticamente ferita nel luglio del 2001 dai fatti del G8, si è scritto un nuovo capitolo di violenza. I fatti sono complicati da riassumere perchè riguardano ‘mondi’ apparentemente lontani tra loro: il calcio, la politica internazionale, la superficialità dei media e le missioni di ‘peacekeeping’.
La cronaca.
Martedì era in calendario un incontro tra azzurri e nazionale di Belgrado. Così l’Ansa ha raccontato le fasi che hanno preceduto l’incontro e le fasi concitate che poi hanno impedito lo svolgimento della partita. I militanti serbi, travestiti da ultras, ha scritto l’agenzia, “assaltano il pullman della loro squadra all’uscita dell’albergo minacciando e terrorizzando il portiere titolare Stojkovic, reo forse di avere subito 3 reti nella gara precedente o di essere passato dalla Stella Rossa al Partizan: e lui chiede e ottiene di essere esentato dalla gara. Nel loro riscaldamento alla partita di violenza che hanno in animo di giocare allo stadio, i tifosi serbi imbrattano palazzo Ducale e accennano scontri con la polizia. Quindi raggiungono il Ferraris, dove si sistemano nei posti a loro riservati, in alto nel settore Gabbia vicino alla gradinata Nord. Ed è lì, poco prima dell’inizio della partita, che succede il patatrac: la postazione altolocata offre agli ultras l’occasione di lanciare a piacimento fumogeni sui tifosi azzurri nella vicina gradinata e in campo. Mentre lo speaker annuncia le formazioni, si scatena il panico: la polizia accorre come può, soprattutto nelle forze che ha. Ovvero poche, perchè sebbene in assetto antisommossa, certo non sono in gran numero gli agenti allo stadio. Anzi tra loro spicca una signora commissario in giubbino con paillettes, pantacollant e stivali tacco 9: alla quale prudentemente fanno mettere un casco in diretta tv mentre i suoi colleghi provano a fronteggiare inutilmente i tifosi che con cesoie continuano a tranciare la rete di protezione del campo”.
Pochi giorni prima a Belgrado gli stessi militanti della destra nazionalista, avevano assalito il corteo del Gay Pride. Per comprendere la situazione bastano alcune cifre: per proteggere i 500 partecipanti all’iniziativa per la difesa dei diritti civili degli omosessuali c’erano almeno 5000 agenti di polizia. Gli attacchi degli aggressori hanno colpito non solo i manifestanti, ma anche la sede del Partito Democratico del presidente serbo Boris Tadic, l’ingresso della sede della televisione di Stato Rts e la sede del partito Socialista del ministro degli Interni Ivica Dacic. Il bilancio è stato di 122 feriti, dei quali 102 erano appartenenti alle forze dell’ordine. Decine gli arrestati. Molta politica, insomma.
Nello stadio Ferraris, in una confusione indicibile, i dirigenti della Uefa, quelli delle due nazionali di calcio e le forze dell’ordine hanno subito a lungo le intemperanze dei facinorosi fascisti e solo la decisione dell’arbitro, lo scozzese Craig Thomson, alla fine ha mandato a casa spettatori ed atleti.
Eppure le intenzioni dei militanti di destra serbi erano chiare fin dal pomeriggio. I picchiatori erano arrivati persino ad assalire il bus che trasportava i calciatori del loro Paese. Cesare Prandelli, il tecnico azzurro ha raccontato: “Avevamo capito che c’era qualcosa di strano quando il loro portiere titolare (Stojkovic, ndr) è entrato nel nostro spogliatoio tremando come una foglia. Ci ha detto che il pullman della Serbia era stato assalito e lì abbiamo capito che l’azione poteva essere anche premeditata e che l’intenzione dei tifosi serbi era quella di non far giocare questa partita”.
Mentre gli avvenimenti erano in pieno svolgimento Roberto Massucci, responsabile della sicurezza della nazionale italiana inviato dal Viminale, ha dichiarato: “Dalla polizia serba non era arrivata alcuna segnalazione che il livello di pericolosità dei tifosi al seguito fosse così alto: gente così non sarebbe mai dovuta arrivare fino a Genova. Anche se dai contatti con la polizia serba non ci avevano segnalato un livelli di pericolosità tali, ma solo il numero dei tifosi, per esperienza sapevamo che era una partita a rischio – ha continuato Massucci – L’apparato di sicurezza era adeguato, ma mai avremmo immaginato un livello di aggressività così alto. I controlli sono stati accurati, per quanto può essere in breve tempo su 2.000 persone. Ma va chiarito che in tutti gli stadi del mondo non ci può essere una perquisizione: chi vuole introdurre dolosamente quei fumogeni, evidentemente ci riesce. Tifosi del genere non avrebbero mai dovuto arrivare fino a Genova. Noi le persone pericolose le blocchiamo a casa, e nel caso non sia possibile segnaliamo alla polizia del Paese in cui andiamo i loro nomi. E mandiamo nostri funzionari”.
Tuttavia, il presidente della federcalcio serba, Tomislav Karadzic, ha specificato: “Da due giorni avvertivamo la pressione dei tifosi attorno al nostro stadio e avevamo avvertito le autorità italiane del rischio hooligan”. Ma non solo. Nonostante gli incidenti siano cominciati nel pomeriggio solo a tarda sera il ministero degli Interni ha deciso di far arrivare a Genova rinforzi da Milano e Torino. Incommentabile infine un’immagine della notizia diffusa dall’Ansa e riguardante la “signora commissario in giubbino con paillettes, pantacollant e stivali tacco 9″.
Dopo l’evacuazione del campo sportivo, come era largamente prevedibile, sono arrivate le botte da orbi. Ancora una sintesi degli avvenimenti da una cronaca Ansa: “E’ una guerriglia urbana quella che si è scatenata la scorsa notte a Genova durante le operazioni di deflusso degli ultrà serbi dallo stadio Ferraris [...] Alla follia della giornata in cui Genova era stata messa sotto scacco, si è aggiunta nuova follia: un inferno che ha richiamato alla memoria gli scontri del G8 nel 2001. È stata evitata un’altra Heysel, è oggi la considerazione trapelata tra i responsabili dell’ordine pubblico, al termine delle lunghe ore di scontri provocati dagli ultras serbi. Il bilancio definitivo dei violenti incidenti, protrattisi anche fuori dallo stadio fin oltre le due di notte, è di 17 arresti e 16 feriti, di cui 2 carabinieri e gli altri tutti serbi. Sono 35 gli hooligan denunciati, 138 quelli identificati [...] La rabbia dei tifosi serbi in attesa di uscire esplode quando riescono a sfondare un cancello della gabbia di prefiltraggio, che si trova all’esterno dello stadio e dentro la quale erano parcheggiati almeno una dozzina di pullman. La polizia entra per contenere la violenza e all’interno della gabbia si scatena l’inferno, con i primi tre feriti, fra cui un carabiniere. E lo scontro si sposta verso i portici dello stadio, con altri feriti”.
Ma cosa c’entra la tragedia dell’Heysel? Le drammatiche conseguenze della partita Juventus e Liverpool di Bruxelles (in cui morirono 39 persone, di cui 32 italiani, e ne rimasero ferite oltre 600) furono determinate da una serie di elementi coincidenti: stadio vecchio e inadeguato, errori di collocazione delle tifoserie nelle tribune, cedimento strutturale di un muro, mancato intervento della polizia belga.
A Genova le nostre forze dell’ordine, qualche volta molto ‘zelanti’ nei confronti di lavoratori, studenti e manifestanti in genere, in questo caso hanno scelto una linea ‘morbida’ preventiva, lasciando entrare nello stadio personagggi che già da ore mostravano intenzioni bellicose ed avevano organizzato cortei nella città.
La decisione sicuramente nobile, quella di evitare “scontri violenti che avrebbero potuto degenerare”, come ha affermato a caldo una fonte vicina alla polizia, ha permesso di stabilire un precedente: è possibile interrompere nella civile Europa un incontro di calcio internazionale con la violenza ed ha mostrato l’incapacità dei nostri servizi di sicurezza a prevedere azioni criminali messe in atto da formazioni politiche straniere.
Il solerte ministro degli Interni, Roberto Maroni, impegnatissimo nel contrastare l’arrivo di migranti inermi, non si è accorto nel caso di Genova che un paio di centinaia di pericolosi attivisti neofascisti circolavano liberamente per l’Italia. I nostri servizi segreti, sempre allerta contro ‘terroristi’ molte volte immaginari non hanno scoperto l’esistenza di un piano, ovviamente meticolosamente preparato, per far saltare una importante partita di calcio e mostrare in diretta televisiva a tutto il mondo e per la seconda volta in pochi giorni la forza ‘militare’ dei fascisti serbi.
I media
Le reti televisive nazionali, prima tra tutte la Rai, non hanno immediatamente affiancato ai giornalisti sportivi colleghi più esperti in fatti di cronaca e di politica internazionale per consentire ai telespettatori di capire quali erano le cause degli scontri. Anzi, una volta accertata la cancellazione dell’incontro, le trasmissioni da Genova sono state interrotte e fino a tarda notte non si è saputo più nulla di quello che accadeva.
In Italia avvertire in diretta una madre che sua figlia è stata uccisa è possibile, ma sapere cosa sta succedendo in uno stadio nel quale un battaglione di provocatori opera indisturbato non è importante. I tredici milioni 421 mila teleutenti che seguivano le immagini ad un certo punto si sono trovati a guardare un film con Whoopi Goldberg.
Durante l’edizione notturna del Tg3, dopo mezzanotte, il direttore della testata Bianca Berlinguer, mentre attendeva con ansia il salvataggio dei minatori cileni, ha riaperto un collegamento con il capoluogo ligure. Ma il giornalista impegnato a raccontare cosa stava accadendo era ancora una volta un cronista sportivo, Marco Mazzocchi, per specializzazione personale non in grado di inquadrare i fatti nel loro reale scenario, ovvero un pasticcio gigantesco che riguarda gli equilibri politici dei Balcani ed anche di più.
Ancora ieri i Tg hanno insistito definendo ‘tifosi’ i militanti nazionalisti serbi, nonostante Karadzic abbia ripetuto: “Questi teppisti sono solo gli esecutori, coloro che hanno organizzato tutto questo si trovano a Belgrado” e la stampa di quel Paese abbia aggiunto: “I servizi di sicurezza hanno informazioni in base alle quali dietro alle violenze ci sarebbe il boss mafioso Darko Saric, che dopo gli scontri al gay pride vuole creare il caos in Serbia”.
Lo scenario
Molti tra quelli che hanno guardato la diretta su RaiUno non hanno visto solo un energumeno tatuato, ma anche una bandiera albanese e la scritta “Il Kossovo è il cuore della Serbia”. Ma quella regione non è uno stato indipendente a base albanese? La storia della regione è molto antica. Alcuni dei fascisti di Genova avevano incisa sulla pelle una data, 28 giugno del 1389. In quel giorno lontano si svolse tra l’Impero serbo e il Regno di Bosnia ed i turchi ottomani la battaglia della Piana dei Merli.
Vinsero i turchi che uccisero il principe serbo Lazar e quasi tutta la nobiltà nazionale ed occuparono una parte estesa della Serbia. Nonostante sia stata una sconfitta quella battaglia è diventata uno degli eventi più importanti della storia serba e nel Medio Evo ha nutrito la letteratura di quel Paese. Il principe Lazar, considerato un eroe nazionale, è stato canonizzato dalla Chiesa ortodossa. Il 18 giugno, giorno di San Vito, l’anniversario della battaglia viene ricordato con cerimonie solenni.
Durante la Seconda guerra mondiale, molti secoli dopo, nel 1943 (con la caduta del fascismo) le truppe italiane che occupavano il Kossovo furono sostituite dall’esercito nazista. Heinrich Himmler, stretto collaboratore di Hitler, decise di costituire la 21esima Divisione delle SS da montagna con cittadini albanesi. Quei militari si dedicarono subito allo sterminio della popolazione serba. Diverse migliaia di persone furono massacrate e solo alla fine del 1944 la regione fu liberata dai partigiani jugoslavi e albanesi ed entrò a far parte della nuova repubblica di Jugoslavia.
Per tutto il dopoguerra e fino alla dissoluzione della ex Jugoslavia i serbi kossovari hanno dovuto contenere le spinte indipendentiste della minoranza albanese e, dopo complesse e sanguinose vicende politico militari, il 17 febbraio 2008 la parte albanese, diventata nel frattempo maggioranza numerica, ha dichiarato l’indipendenza del Kossovo. Il governo di Belgrado subito definì illegittima e illegale la deliberazione e nella regione sono cominciati violentissimi scontri armati tra forse filoserbe e forze filoalbanesi.
Dopo una martellante campagna di stampa lanciata dai media americani, che descrivevano una ‘pulizia etnica’ da parte dei serbi contro gli albanesi ed ignoravano le azioni degli albanesi contro i serbi, gli Stati Uniti nel 1999 per motivi che nulla avevano a che fare con il Kossovo scaterarono la Nato che attaccò la Serbia, per altro facendo partire bombardieri dalla base in territorio italiano di Aviano con il supporto del governo di centro sinistra guidato da Massimo D’Alema.
Cosa aveva ispirato per davvero la decisione di Washington? Un buffo acronimo di una azienda, Ambo, ovvero la Albanian Macedonian Bulgarian Oil. La società in questione, registrata negli States, doveva costruire un oleodotto da 1,1 miliardi di dollari (noto anche come Trans-balcanico), progettato per portare il petrolio dal Mar Caspio a un terminal in Georgia. Da lì l’oro nero doveva partire per nave, attraversare il Mar Nero e raggiungere il porto bulgaro di Burgas per poi attraversare la Macedonia fino allo scalo marittimo di Vlora. Annientare la Serbia e controllare il Kossovo era fondamentale per accedere al porto albanese da dove il greggio avrebbe dovuto essere imbarcato sulle petroliere e spedito alle raffinerie americane.
Interessante notare che l’azione militare del 1999 fu condotta dall’amministrazione democratica guidata da Bill Clinton, ma che Ambo era stata ideata nel 1995, dalla Kellogg, Brown and Root, una costola dell’Halliburton, la compagnia più cara al successivo vice presidente repubblicano di Bush, Dick Cheney. Il collaboratore dell’ideatore delle guerre in Iraq ed Afghanistan per ‘esportare la democrazia’, però, aveva una precisa strategia sulla questione energetica. Rendere gli Usa autosufficienti per l’approvvigionamento di petrolio attraverso lo sfruttamento dei giacimenti della ex Unione Sovietica. Per raggiungere l’obiettivo era indispensabile il controllo politico e militare del corridoio che partendo dal Caspio attraversa il Caucaso e raggiunge i Balcani. Perchè Russia e Iran non erano per nulla contenti della ‘trovata’ americana. Ecco allora che la missione di ‘pace’ per salvare gli albanesi buoni vittime dei serbi cattivi era più consigliata da esperti di benzina che da attivisti umanitari.
A tal fine sempre la Kellogg, Brown and Root aveva ricevuto l’appalto per costruire Camp Bondsteel, la più grande base Usa fuori dal territorio nazionale: 400 ettari vicino al confine con la Macedonia.
Nel frattempo il Kossovo ‘libero’, orgoglio bipartizan delle amministrazioni repubblicane e democratiche di Washington, è stato definito da Vladimir Ovtchinky, ex capo dell’Interpol russa “uno Stato mafioso nel cuore dell’Europa”. Sempre secondo lo stesso superpoliziotto, il crimine organizzato albanese kosovaro, anche grazie alla protezione delle forze militari internazionali che dovevano salvaguardare la convivenza tra serbi e albanesi nella zona, si sono aggiudicate immediatamente il controllo del traffico di eroina che arrivava guarda caso dall’Afghanistan e dal Pakistan e attraverso i Balcani sfornava in Europa occidentale tonnellate di stupefacenti. Interpol ed l’Europol hanno calcolato che solo fra il 1999 e il 2000 la mafia albanese tra droga, traffico di migranti e prostituzione ha guadagnato non meno di 7,5 miliardi di euro.
Limes, una rivista italiana di geopolitica, in un reportage del 2008 ha ipotizzato che il territorio kossovaro, diviso in sfere d’influenza controllate dalle varie forze della Kfor (il nome della missione dell’Alleanza atlantica), potrebbe aver visto addirittura un rapporto diretto tra clan mafiosi e comando Nato.
Mentre il Kossovo indipendente diventava una fiorente Tortuga dei Balcani con la supervisione delle forze internazionali, in Serbia la crisi seguita ai bombardamenti della Nato, che avevano distrutto infrastrutture, fabbriche e persino la rete elettrica del Paese, ha divorato posti di lavoro, portando la disoccupazione quasi al 30 per cento.
Strozzato da una situazione interna insostenibile ed ormai vecchia quasi dieci anni, il presidente Tadic ha dovuto ‘ammorbidire’ la posizione del suo governo a riguardo dell’indipendenza del Kossovo. L’obiettivo di Belgrado per salvare l’agonizzante economia serba è avvicinarsi all’Unione Europea e agli Usa. Le conseguenze sono state il rafforzamento delle opposizioni. I conservatori di Kostunica e Draskovic, i nazionalisti di Nikolic e il Partito dei radicali hanno lanciato una offensiva violentissima che ha dato slancio anche alle formazioni fasciste. Quelle degli scontri al gay pride e poi a Genova.
La conclusione
I fatti di Genova quindi poco a nulla hanno a che fare col calcio. I nostri servizi segreti avrebbero dovuto sapere che l’ultradestra serba intendeva operare in Italia per aprire un nuovo fronte interno ed il ministro Maroni avrebbe dovuto prendere ben altre decisioni.
Ed infatti anche la Uefa sembra mostrare dubbi sull’operato del nostro governo. I risultati dell’inchiesta sugli incidenti di Genova sarà discussa il 28 ottobre, ma la Federazione per voce di Rob Faulkner ha fatto notare come “oltre alla responsabilità di chi provoca incidenti, i regolamenti Uefa prevedono anche quella della federazione che organizza la partita e che deve garantire la sicurezza nello stadio e il regolare svolgimento dell’incontro”.
Insomma, dietro lo scandalo della partita si nasconde un complicatissimo affaire internazionale, nel quale ancora una volta non manca una ‘missione militare di pace’, quella della guerra in Kossovo, che non ha solo prodotto instabilità in una area geografica, i Balcani, ma è arrivata al Ferraris di Genova.
I fascisti serbi all’opera in questi giorni sono il frutto di un modo errato di risolvere le controversie e nel quale gli interessi di alcune grandi potenze e il solito petrolio continuano a giocare un ruolo rilevante. Come in Iraq ed Afghanistan. Ma di tutto questo quasi non si parla nelle cronache ‘sportive’. Meglio non svegliare il can che dorme.